APPALTO PRIVATO - Domanda nuova di riduzione prezzo in sede di appello, ammissibile - Corte d'Appello Salerno Sez. I Sent., 24-02-2023
La domanda di riduzione del prezzo, in presenza di vizi dell'opera, può essere proposta, in luogo di quella originaria di risoluzione per inadempimento, sia nel giudizio di primo grado, che in quello d'appello, giacché, essendo fondata sulla medesima "causa petendi" e caratterizzata da un "petitum" più limitato, non costituisce domanda nuova, né all'appalto può essere esteso il principio, dettato per la vendita dall'art. 1492, comma 2 c.c., dell'irrevocabilità della scelta, operata mediante la domanda giudiziale, tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo, fermo restando che, nel caso di inadempimento dell'appaltatore, il divieto di cui all'art. 1453, comma 2 c.c., impedisce al committente, che abbia proposto una domanda di risoluzione, di mutare tale domanda in quella di adempimento, ma non anche di chiedere la riduzione del prezzo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d'Appello di Salerno, Prima Sezione Civile, riunita in camera di consiglio e composta dai signori:
dott.ssa Ornella Crespi, - Presidente
dott.ssa Giuliana Giuliano, - Consigliere
dott. Francesco Bruno, - Consigliere rel. est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al numero 975 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2018, vertente
TRA
F.A., rappresentato e difeso dall'avvocato Vittorio Provenza, come in atti domiciliato,
APPELLANTE
E
C.M. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Carmine Napoli, come in atti domiciliata,
APPELLATA
avente ad oggetto: appello avverso la sentenza numero 2261/18 del Tribunale di Salerno, pubblicata in data 19 giugno 2018.
Svolgimento del processo
1. Con atto del 19 luglio 2018, F.A. proponeva appello, affidandone l'accoglimento ad un unico ed articolato motivo di gravame, avverso la sentenza numero 2261/18, pubblicata in data 19 giugno 2018, con la quale il Tribunale di Salerno -pronunciando sui giudizi riuniti iscritti ai numeri 2745 e 5281 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2006- aveva parzialmente accolto l'opposizione da lui proposta avverso il decreto ingiuntivo numero 2434/06, revocando il provvedimento monitorio, ma, nel contempo, condannandolo al pagamento, nei confronti della C.M. s.r.l., della somma di Euro 45.397,44, oltre Iva, dovuta per le prestazioni ricevute, quale committente, in esecuzione di un contratto di appalto avente ad oggetto opere svolte presso un suo immobile, in Pellezzano, mentre aveva rigettato e dichiarato inammissibile, rispettivamente, le sue domande di risoluzione contrattuale per inadempimento e di risarcimento dei danni subiti.
2. Costituitasi in giudizio, la C.M. s.r.l. impugnava le avverse argomentazioni e richieste, delle quali, dedottane l'infondatezza in fatto ed in diritto, invocava la reiezione.
3. Disattesa, con ordinanza 10 gennaio 2019, l'istanza formulata da F.A., tendente ad ottenere la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata, la causa, all'udienza del 27 ottobre 2022, veniva assegnata a sentenza, previa concessione dei termini per il deposito di scritti conclusionali.
Motivi della decisione
1. L'appello proposto da F.A. è, nei termini di seguito specificati, fondato e, per quanto di ragione, merita accoglimento.
2. Con un unico -ed articolato in più punti- motivo di gravame, denunciando l'omessa valutazione della documentazione prodotta, con conseguente carenza di motivazione, e l'erronea valutazione della consulenza tecnica d'ufficio, l'appellante ha messo in rilievo che: a) il Tribunale di Salerno -sul presupposto che non avesse mai obiettato alcunché riguardo all'esecuzione dei lavori, se non a mezzo di intempestiva comunicazione datata 21 marzo 2005- aveva inopinatamente ritenuto adempiente la società appaltatrice, nonostante avesse reiteratamente fatto presente che i lavori erano stati eseguiti in spregio delle regulae artis, come aveva sostanzialmente fatto anche il direttore dei lavori, ing. M.C.; b) si era discostato, altresì, dai risultati ai quali era pervenuto il consulente tecnico d'ufficio, liquidando erroneamente il quantum debeatur in Euro 45.397,44, oltre Iva, anziché in Euro 14.418,62, oltre Iva, non computando gli acconti già versati, per la cifra complessiva di Euro 18.000,00, oltre Iva, nonché i vizi dell'opera, forieri di danni, liquidati dall'ausiliario in Euro 12.978,82; c) aveva dichiarato inammissibile, inoltre, la sua domanda di risarcimento dei danni subiti, che era stata sì evocata negli scritti conclusionali, ma "di rimando agli atti introduttivi", né era precluso a colui il quale avesse proposto una domanda di risoluzione invocare -non di meno- la riduzione del prezzo, trattandosi di una emendatio e non di una mutatio libelli (cfr. l'atto d'appello del 19 luglio 2018, alle pagine 3, 4 e 5).
3. Il Giudice di primo grado, invero, aveva messo in rilievo che: a) non era emerso l'inadempimento della società appaltatrice, come era possibile evincere dall'istruttoria espletata; b) F.A. aveva presentato, in data 11 ottobre 2004, una denuncia di inizio attività al Comune di Pellezzano, dalla quale era possibile arguire che i lavori erano stati progettati dall'ing. M.C. e da quest'ultimo sarebbero stati diretti; c) la C.M. s.r.l. aveva portato a termine le opere senza che ci fosse stata alcuna contestazione, tanto è vero che, solamente quando era stato sollecitato il pagamento, F.A. aveva messo in dubbio, in data 21 marzo 2005, la corretta esecuzione delle opere; d) non ricorrevano, pertanto, i presupposti per l'accoglimento dell'azione di risoluzione, per la carenza di prova dell'inadempimento della società appaltatrice, essendo risultato inadempiente, viceversa, F.A.; e) l'articolo 1668 del codice civile, del resto, prevedeva che solamente al cospetto di un'opera del tutto inadatta alla sua destinazione, affetta da vizi tali da incidere in maniera notevole sulla sua struttura e funzionalità, fosse possibile ottenere lo scioglimento del vincolo negoziale, dovendosi ricorrere, in mancanza, ai rimedi dell'eliminazione dei vizi o della riduzione del prezzo, salvo il risarcimento dei danni subiti; f) la somma dovuta, quale individuata dal consulente tecnico d'ufficio, ammontava ad Euro 45.397,44, oltre Iva, dalla quale non poteva essere detratto l'ammontare calcolato dall'ausiliario in ragione dei vizi che inficiavano l'opera, in quanto la domanda di risarcimento non poteva essere esaminata, essendo stata formulata in sede di scritti conclusionali ed essendo stata redatta la relazione di consulenza tecnica d'ufficio a circa sei anni dallo svolgimento dei lavori, che erano stati "portati a termine da altra ditta"; g) pertanto, revocato il decreto ingiuntivo opposto, F.A. doveva essere condannato al pagamento della somma di Euro 45.397,44, oltre Iva, mentre la sua domanda di risoluzione doveva essere rigettata, essendo inammissibile, invece, la domanda di risarcimento dei danni subiti (cfr. la sentenza impugnata, alle pagine 3, 4, 5 e 6).
4. Orbene, le conclusioni alle quali è pervenuto il Tribunale di Salerno non sono -almeno in parte- condivisibili e devono essere rivisitate criticamente in questa sede, non essendo del tutto coerenti con i principi giuridici che sovrintendono alla materia e con gli elementi fattuali emersi nel corso del giudizio.
4.1. E’ opportuno rimarcare, innanzi tutto, che F.A. non ha censurato la statuizione -contenuta nella sentenza impugnata- di rigetto della sua domanda di risoluzione contrattuale, ai fini del quale -come ha correttamente messo in evidenza il Giudice di primo grado- non ricorrevano affatto le condizioni di cui all'articolo 1668 del codice civile, avendo invocato la riforma della decisione solamente con riferimento all'opinata inammissibilità della domanda di risarcimento dei danni subiti, il cui esame -ed accoglimento-avrebbe comportato una detrazione dalla somma dovuta, quale determinata dal consulente tecnico d'ufficio, dell'ammontare corrispondente ai vizi riscontrati, oltre che dell'importo già versato a titolo di acconto.
4.2. Giova rammentare, riguardo alla cennata domanda di risarcimento dei danni subiti, correlata alla lamentata sussistenza di vizi dell'opera, che effettivamente -e contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale di Salerno- F.A. aveva contestato, ben prima della missiva del 21 marzo 2005, menzionata nella sentenza impugnata, la rispondenza alle regulae artis dei lavori (cfr., allegate in copia al fascicolo dell'appellante, oltre alla lettera del 21 marzo 2005, quelle antecedenti del 9 febbraio 2005 e del 14 febbraio 2005, a firma, quest'ultima, dell'ing. M.C., il quale, successivamente, aveva anche segnalato -come è possibile evincere dalla relativa missiva, allegata anch'essa in copia al fascicolo di F.A.- "una consistente perdita d'acqua", verificatasi in data 31 maggio 2005, evidentemente scaturita dall'inadeguata realizzazione "dell'impianto idrico in garanzia").
La sussistenza dei vizi de quibus -in relazione alla cui tempestiva denuncia la C.M. s.r.l. non ha mai sollevato alcuna eccezione- è evincibile, d'altronde, anche -e, quindi, non solo dalle lettere poc'anzi menzionate, tra cui quelle a firma del direttore dei lavori- dalle dichiarazioni rese -a conferma dei capitoli di prova articolati da F.A. dai testimoni N.A., D.G.P. e C.M. (cfr. i verbali delle udienze del 24 settembre 2007, del 22 ottobre 2007 e del 19 novembre 2007, in cui sono rispettivamente riportate le dichiarazioni rese dai testimoni ai quali si è fatto cenno).
Il consulente tecnico d'ufficio, d'altro canto, ha verificato -in virtù di un accertamento in alcun modo pregiudicato dal tempo trascorso dal loro completamento- le opere eseguite dalla C.M. s.r.l., in contraddittorio tra le parti e tenendo conto -tra l'altro- del consuntivo dei lavori prodotto in giudizio dalla società appaltatrice (cfr., allegato in copia al fascicolo della C.M. s.r.l., il documento al quale si è fatto cenno) e dell'elenco delle opere reputate dal committente non realizzate a regola d'arte (cfr., allegata in copia al fascicolo dell'appellante, la lettera del 21 marzo 2005), ed ha individuato i vizi che le connotano, determinando, altresì, l'ammontare occorrente per porre rimedio ad essi, non mancando di quantificare l'importo da riconoscere a F.A. per i danni causati dalla perdita idrica riconducibile ai lavori -non congrui- eseguiti dalla società appaltatrice (cfr. la relazione di consulenza tecnica d'ufficio a firma dell'ing. F.S., alle pagine 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20).
4.3. Ed, infatti, avuto riguardo a tutti gli elementi acquisiti nel corso del giudizio, tra cui quelli -richiamati nelle pagine che precedono- desumibili dalle deposizioni testimoniali, dalla corrispondenza versata in atti e, più in generale, dalla documentazione rinvenibile nelle produzioni di parte, tra cui il consuntivo dei lavori prodotto in giudizio dalla società appellata, e dalle conclusioni alle quali è pervenuto il consulente tecnico d'ufficio (il cui operato si è contraddistinto per accuratezza, precisione e completezza, avendo descritto, con acribia rappresentativa e dovizia di particolari, i vizi dell'opera -da ritenere sostanzialmente conclusa-in virtù di criteri ancorati saldamente a metodi scientifici d'indagine, che gli hanno permesso di raggiungere risultati pienamente condivisibili, apparentemente immuni da aporie, vizi logici o contraddizioni, nonché corroborati da una motivazione esauriente e del tutto esplicativa dell'iter logico-valutativo seguito negli accertamenti demandatigli, anche nella parte in cui ha risposto, in maniera convincente ed appagante, alle osservazioni formulate dalle parti), è possibile ritenere che F.A. abbia subito, in conseguenza dell'inadempimento della C.M. s.r.l., danni di una certa consistenza, quantificabili in Euro 12.978,82, oltre Iva, somma corrispondente al valore delle opere già realizzate da altre imprese -euro 3.260,00- e da realizzare -euro 9.718,82-necessarie per eliminare i vizi riscontrati, attinenti: a) alla posa in opera del rivestimento vietrese, del corrimano e del parquet in legno; b) alla tinteggiatura del vano scala; c) alla verniciatura delle porte in legno e degli infissi esterni; d) all'impianto idrico del wc (cfr. la relazione di consulenza tecnica d'ufficio depositata in cancelleria in data 24 aprile 2014, alle pagine 14, 15, 16, 17, 18 e 19, in cui sono indicati -così come, in termini più dettagliati, nel computo metrico allegato all'elaborato peritale- i costi necessari per eliminare i vizi riscontrati, tra i quali anche quelli relativi all'impianto idrico del wc, dal quale era derivata la perdita d'acqua che aveva reso necessario l'intervento di riparazione e ripristino da parte di altre imprese).
Relativamente all'impianto idrico, peraltro, non è lecito nutrire dubbi sulla riconducibilità della perdita poc'anzi rammentata ad un'inesattezza nell'adempimento della prestazione richiesta, come evidenziato dal consulente tecnico d'ufficio, anche se, in virtù di quanto è possibile arguire dalle deposizioni testimoniali, non è possibile escludere con certezza che anche altre imprese abbiano prestato, rispetto a tale impianto, la loro opera, già prima che si verificasse la perdita, riguardo alla cui esatta natura, concreta tipologia e reale consistenza -all'esatta natura, concreta tipologia e reale consistenza dell'opera eventualmente prestata da altre imprese- non è dato esprimersi, in mancanza di elementi che, in termini pieni ed incontrovertibili, permettano di stabilirlo.
Non di meno, sarebbe spettato alla C.M. s.r.l. fornire la dimostrazione di avere adempiuto esattamente alla prestazione richiesta, ancor più in mancanza di accettazione dell'opera, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, in ossequio ai quali, in tema di garanzia per vizi in materia di appalto, è l'accettazione e non la mera consegna dell'opera a segnare il discrimine ai fini della distribuzione dell'onere della prova, nel senso che, finché l'opera non sia stata accettata, al committente è sufficiente la mera allegazione della sussistenza dei vizi, gravando sull'appaltatore l'onere di provare di aver eseguito l'opera conformemente al contratto, oltre che alle regole dell'arte (cfr. Cass. civ. n. 26566/21), diversamente da quanto è avvenuto nella vicenda in esame, non avendo la società appellata dimostrato, in maniera piena ed incontrovertibile, oltre all'accettazione dell'opera, che, anzi, è stata oggetto di contestazione, l'esecuzione, secondo le regulae artis, della prestazione e la sua ascrivibilità all'intervento di soggetti terzi, nonché la riconducibilità eziologica della perdita proprio a tali eventuali interventi e non, invece, al proprio operato.
4.4. Non è dato dubitare, per altro verso, della scrutinabilità nel merito della domanda di risarcimento dei danni subiti proposta da F.A., il quale, come si è avuto modo di dire nelle pagine che precedono, ha lamentato l'erroneità e l'ingiustizia della sentenza impugnata anche con riferimento alla reputata inammissibilità dell'azione risarcitoria de qua, nonché alla possibilità di invocare, quale mera emendatio libelli, perfino la riduzione del prezzo, invece della risoluzione del contratto.
Ed, infatti, F.A., con l'atto introduttivo del giudizio finalizzato ad ottenere la risoluzione del contratto d'appalto, poi riunito a quello instaurato per opporsi al decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto dalla C.M. s.r.l., aveva invocato anche la condanna di quest'ultima al risarcimento dei danni subiti, formulando una domanda che può essere avanzata a prescindere da quella -e dal suo esito- tendente ad ottenere lo scioglimento del vincolo negoziale.
In sede di scritti conclusionali, invece, F.A. aveva prospettato -nell'ottica di impedire un "illecito arricchimento" della controparte e di pervenire all'effetto, al di là di qualsivoglia "disquisizione terminologica", di ottenere quanto di spettanza- la possibilità che le sue pretese fossero accolte sotto il profilo della riduzione del prezzo (cfr. la memoria di replica depositata in cancelleria in data 5 ottobre 2017, a pagina 2) ed, anche in questo caso, la domanda sarebbe stata scrutinabile nel merito, perché sarebbe stata pur sempre fondata sui vizi dell'opera e, pertanto, non concretandosi in una variazione dei fatti addotti a sostegno della pretesa originariamente azionata e, tutt'al più, incidendo -in riduzione- esclusivamente sul petitum, avrebbe dato luogo ad una mera emendatio libelli.
Come è noto, la domanda di riduzione del prezzo, in presenza di vizi dell'opera, può essere proposta, in luogo di quella originaria di risoluzione per inadempimento, sia nel giudizio di primo grado, che in quello d'appello, giacché, essendo fondata sulla medesima causapetendi e caratterizzata da un petitum più limitato, non costituisce domanda nuova, né all'appalto può essere esteso il principio, dettato per la vendita dall'articolo 1492, comma secondo, del codice civile, dell'irrevocabilità della scelta, operata mediante la domanda giudiziale, tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo, fermo restando che, nel caso di inadempimento dell'appaltatore, il divieto di cui all'articolo 1453, comma secondo, del codice civile, impedisce al committente, che abbia proposto una domanda di risoluzione, di mutare tale domanda in quella di adempimento, ma non anche di chiedere la riduzione del prezzo (cfr. Cass. civ. n. 2037/19).
4.5. Ad ogni modo, nella fattispecie in esame, è possibile ritenere -in linea con quanto lamentato dall'appellante, il quale ha sì messo in rilievo che anche la domanda di riduzione del prezzo sarebbe stata suscettibile di accoglimento, ma ha innanzi tutto censurato, incentrando correttamente le sue doglianze sul proprium della pronuncia gravata, l'opinata inammissibilità della domanda di risarcimento dei danni subiti- che il Giudice di primo grado abbia errato nel ritenere che F.A. non avesse mai proposto una siffatta domanda, che è risultata anche fondata, con la conseguenza che la somma di Euro 45.397,44, oltre Iva, deve essere decurtata dell'ammontare corrispondente al valore delle opere occorse ed occorrenti per l'eliminazione dei vizi, pari ad Euro 12.978,82, oltre Iva, per un importo di Euro 32.418,62, oltre Iva.
4.6. Da tale somma, infine, deve essere detratto quanto già versato da F.A. a titolo di acconto, pari ad Euro 18.000,00, oltre Iva (cfr., allegata in copia al fascicolo della C.M. s.r.l., la lettera di messa in mora del 31 gennaio 2005, in cui è menzionato "il primo acconto" versato da F.A. tramite due assegni bancari, rinvenibili in copia nel fascicolo dell'appellante), di talché la somma residua dovuta, effettuate le detrazioni succitate, corrisponde ad Euro 14.418,62, oltre Iva, nonché interessi, al saggio legale, a far data dalla costituzione in mora al soddisfo.
5. Alla luce, pertanto, delle osservazioni fin qui esposte, ogni altra istanza, domanda, eccezione e deduzione disattesa o assorbita in virtù delle argomentazioni precedentemente illustrate, l'appello proposto da F.A., in parziale riforma della sentenza impugnata, deve essere, nei termini specificati nelle pagine che precedono, accolto e, per l'effetto, l'appellante -ferme restando le statuizioni con le quali è stato revocato il decreto ingiuntivo opposto ed è stata rigettata la domanda di risoluzione del contratto di appalto (capi 1 e 3)- deve essere condannato al pagamento, in favore della C.M. s.r.l., della residua somma di Euro 14.418,62, oltre Iva, nonché interessi, al saggio legale, a far data dalla costituzione in mora al soddisfo.
6. In considerazione dell'esito complessivo della controversia, che ha visto decisamente ridotto l'ammontare preteso dalla società appaltatrice, la quale ha realizzato opere in parte viziate, agendo in giudizio, peraltro, senza scomputare, dalle sue pretese, le somme già ricevute a titolo di acconto, le spese processuali del primo e del secondo grado del giudizio, avuto riguardo alla soccombenza reciproca concretizzatasi, possono essere integralmente compensate (cfr., in ordine alla soccombenza reciproca, idonea a legittimare la compensazione delle spese di lite, ed ai presupposti necessari affinché sia possibile ravvisarla, Cass. civ. n. 516/20), come, del resto, aveva già fatto il Giudice di primo grado, mentre quelle di consulenza tecnica d'ufficio possono essere poste, per metà (1/2), a carico di ciascuna delle parti, come, parimenti, aveva già statuito il Tribunale di Salerno, di talché, sul punto, non può che trovare conferma -così come sul capo relativo alla liquidazione delle spese di lite- la sentenza impugnata (capi 5 e 6).
P.Q.M.
La Corte d'Appello di Salerno, Prima Sezione Civile, nella composizione di cui in intestazione, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:
1) accoglie, nei termini specificati in motivazione, l'appello e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna F.A. al pagamento, in favore della C.M. s.r.l., della somma di Euro 14.418,62, oltre Iva, nonché interessi, al saggio legale, a far data dalla costituzione in mora al soddisfo;
2) conferma nel resto la sentenza impugnata (capi 1, 3, 5 e 6);
3) compensa integralmente tra le parti le spese di lite del presente grado di giudizio.
Così deciso in Salerno, il 31 gennaio 2023.
Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2023.