SUCCESSIONE - RINUNCIA A FAR VALERE IL TESTAMENTO - Cass. civ. Sez. II Ord., 21-03-2022

SUCCESSIONE - RINUNCIA A FAR VALERE IL TESTAMENTO -  Cass. civ. Sez. II Ord., 21-03-2022

Ai fini della validità della rinuncia a far valere il testamento, occorre l'accordo di tutti i coeredi da redigere per atto scritto, a pena di nullità, se nella successione sono compresi beni immobili, poichè detto accordo, importando una modificazione quantitativa delle quote, tanto dal lato attivo che da quello passivo, si risolve in un atto di disposizione delle stesse.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice - Presidente -

Dott. GORJAN Sergio - Consigliere -

Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere -

Dott. FALASCHI Milena - rel. Consigliere -

Dott. SCARPA Antonio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10691/2017 R.G. proposto da:

M.D., rappresentato e difeso dagli Avv. Luigia Carla Germani, e Alessio Straniero, del foro di Milano, elettivamente domiciliato agli indirizzi PEC dei difensori iscritti nel REGINDE;

- ricorrente -

contro

M.L., rappresentato e difeso dagli Avv. Daniele Rovelli, del foro di Genova e Federica Stoppani, del foro di Roma, elettivamente domiciliato in Roma, via Filippo Civinini n. 12, presso lo studio del secondo difensore;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 262 depositata il 24 febbraio 2017 e notificata il 2 marzo 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 settembre 2021 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Ritenuto che:

- il Tribunale di Chiavari, con sentenza n. 819 del 2011, in accoglimento della domanda proposta da M.L. nei confronti del fratello M.D., dichiarava inefficace il testamento - olografo redatto dalla madre C.M.L. (deceduta il (OMISSIS)), affermando che le parti, con un accordo dell'8 maggio 2002, avevano rinunciato a far valere qualsiasi testamento e, per l'effetto dichiarava che i L. e M.D. erano eredi legittimi di C.M.L. e titolari del patrimonio ereditario nella misura del 50% ciascuno;

- sul gravame interposto da M.D., la Corte di appello di Genova, nella resistenza dell'appellato, con sentenza n. 262/2017, rigettava l'appello e confermava integralmente il provvedimento impugnato.

In particolare, la Corte di merito osservava che il tenore delle espressioni utilizzate dalle parti nella scrittura oggetto di causa era inequivocabile, desumendosi chiaramente al punto n. 4 del contratto l'intenzione dei fratelli di mantenere immutate le quote di comproprietà derivanti dall'eredità della madre del 50%, le quali, quindi, non potevano subire modifiche per nessun motivo e per nessun titolo, come espressamente riportato nel testo contrattuale. Pertanto, il giudice di secondo grado affermava che l'accordo in questione aveva ad oggetto l'immediata definizione delle quote successorie, senza la necessità della stipulazione di un ulteriore atto negoziale, il quale in ogni caso avrebbe avuto solo rilievo formale. Peraltro, il giudice del gravame precisava che la pubblicazione tardiva del testamento olografo rispetto alla data della morte della madre da parte dell'appellante nonchè la mancata deduzione nei propri scritti difensivi circa la successiva scoperta del predetto atto di ultima volontà, confermavano la consapevolezza di M.D. di rinunciare ai propri diritti di erede testamentario al momento della sottoscrizione dell'accordo e di accettare i termini e le condizioni di cui alla predetta scrittura privata;

- per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Genova propone ricorso M.D. sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso il fratello L.;

- in prossimità dell'adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Atteso che:

- in via preliminare, la Corte ritiene che il ricorso, seppur non corredato dalla copia della sentenza impugnata con la relazione di notificazione, sia nondimeno procedibile.

Il ricorrente, in effetti, pur avendo dichiarato che la sentenza impugnata - depositata in data 24 febbraio 2017 - gli sia stata notificata il 2 marzo 2017, si è limitato a depositare la copia autentica della sentenza di appello con attestazione di conformità ma non anche la relazione della relativa notificazione, senza, peraltro, che la copia notificata della sentenza possa rinvenirsi nella produzione della parte controricorrente. Tuttavia, il difetto della produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima, prescritta dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, non comporta l'improcedibilità del ricorso per cassazione nel caso in cui risulti che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza poichè il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza e quella della notificazione del ricorso, quale emerge dalla relata di notificazione dello stesso, assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, ossia quello di consentire al giudice dell'impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all'art. 325 c.p.c., comma 2 (Cass. n. 19576 del 2021).

Ebbene, nel caso di specie la sentenza impugnata è stata depositata il 24 febbraio 2017 e il ricorso è stato tramesso per la notifica il 26 marzo 2017, ossia entro e non oltre il termine di sessanta giorni, con conseguente procedibilità del ricorso;

- venendo al merito, con il primo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1362 c.c. per aver la Corte di merito fatto mal governo dei principi in tema di interpretazione contrattuale, trascurando di esaminare il periodo introduttivo della clausola n. 4 della scrittura privata oggetto di valutazione.

Secondo il ricorrente tale omissione costituirebbe una violazione del disposto di cui all'art. 1362 c.c. che impone all'interprete di valutare tutte le espressioni utilizzate dai contraenti così da poter ricostruire correttamente il contenuto della clausola contrattuale. Argomenta il ricorrente che se il giudice avesse preso in considerazione il dato testuale trascurato ("si dichiara l'impegno a redigere in tempi brevi un documento") avrebbe qualificato il vincolo di cui al punto 4 del contratto come impegno a stipulare un successivo accordo avente natura sostanziale e non meramente formale, come erroneamente definito dal giudice di merito.

Con il terzo motivo - da trattare congiuntamente al primo per la stretta connessione argomentativa dei mezzi - il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1362 c.c. nonchè l'omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, per non aver la Corte distrettuale tenuto conto della natura precaria, preparatoria o preliminare dell'accordo in contestazione.

Entrambi i motivi sono inammissibili.

Osserva il Collegio che, in tema di interpretazione dei contratti, il criterio del riferimento al senso letterale delle parole adoperate dai contraenti si pone come strumento di interpretazione fondamentale e prioritario, con la conseguenza che, ove le espressioni adoperate nel contratto siano di chiara e non equivoca significazione, la ricerca della comune intenzione delle parti resta esclusa, rimanendo superata la necessità di ricorrere ad ulteriori criteri contenuti negli artt. 1362 c.c. e ss. i quali svolgono una funzione sussidiaria e complementare (cfr. Cass. n. 23132 del 2015). In tal senso, codesta Corte aveva già statuito in epoca risalente, che qui si intende ribadire, che ove il testo del contratto abbia un significato chiaro ed univoco, non sono ammissibili ulteriori indagini integrative che potrebbero condurre a risultati arbitrari (v. Cass. n. 381 del 1968), per il noto brocardo "in claris non fit interpretatio". Peraltro, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, l'interpretazione di un atto negoziale, mirando a determinare una realtà storica e obiettiva, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nelle ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. o di motivazione illogica ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito dal giudice di merito per giungere alla decisione. Pertanto, il ricorrente non solo deve fare puntuale riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione dei canoni asseritamene violati e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto altresì a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sia discostato. Di conseguenza, non è ammissibile la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che, dedotta sotto il profilo della violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione, si risolva in realtà nella proposta di un'interpretazione diversa (v. in termini Cass. n. 22536 del 2007).

Orbene, nella specie il giudice del gravame, con un ragionamento sostenuto da una motivazione adeguata e priva di errori logici o giuridici, ha ritenuto inequivocabile il tenore delle espressioni utilizzate dalle parti nel contratto oggetto di causa, reputando particolarmente significativa la dichiarazione secondo la quale "le quote stabilite non verranno modificate per nessun motivo o nessun titolo e che non esistono informazioni sconosciute all'una o all'altra o a entrambe le parti", così come l'altra secondo cui "qualora in futuro si venisse a conoscenza di nuovi fatti che possono modificare le quote di proprietà esistenti non verranno tenuti in considerazione".

Per di più, la Corte distrettuale, oltre ad aver accertato che il futuro documento che le parti si erano impegnate a redigere in "forma maggiormente probatoria" avrebbe dovuto semplicemente riportare i termini dell'accordo già raggiunto a tutti gli effetti, ha aggiunto che non si comprendeva quale ulteriore decisione avrebbe dovuto essere rinviata ad una futura negoziazione e che, peraltro, parte appellante nulla aveva specificato sul punto.

Alla luce di tali apprezzamenti di merito, il giudice di secondo grado ha coerentemente qualificato l'accordo come definitivo, affermando che il futuro ed eventuale atto poteva investire solo la forma, ma non la sostanza del predetto accordo, con il quale i due fratelli avevano completamente definito i rapporti rispetto alle eredità loro devolute, sia in riferimento a quella della madre, sia in ordine a quelle dei nonni materni.

A tale riguardo si osserva che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che lo stabilire se le parti abbiano inteso stipulare un contratto definitivo ovvero un contratto preliminare di compravendita, rimettendo l'effetto traslativo ad una successiva manifestazione di consenso, si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in Cassazione se è sorretto da una motivazione esente da vizi logici o da errori giuridici e sia il risultato di un'interpretazione condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dagli art. 1362 c.c. e s. (Cass. n. 24150 del 2007; Cass. n. 21650 del 2019).

Tra l'altro, la Corte di appello ha affermato che la tardiva pubblicazione del testamento olografo della madre (deceduta in data (OMISSIS)), avvenuta solo in data 7 luglio 2009, nonchè la mancata deduzione nella comparsa di costituzione e risposta della scoperta di alcun atto di ultima volontà successivo alla formazione e sottoscrizione della scrittura, confermavano l'intenzione del fratello appellante di rinunciare con il predetto accordo a far valere il testamento, pubblicato successivamente e, comunque, di disciplinare nel modo contrattualmente previsto i propri diritti sull'eredità della madre.

Del resto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della validità della rinuncia a far valere il testamento, occorre l'accordo di tutti i coeredi da redigere per atto scritto, a pena di nullità, se nella successione sono compresi beni immobili, poichè detto accordo, importando una modificazione quantitativa delle quote, tanto dal lato attivo che da quello passivo, si risolve in un atto di disposizione delle stesse (Cass. n. 12685 del 2014).

Le doglianze di parte ricorrente si traducono, quindi, in una mera critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito, intesa a far valere una diversa e più favorevole valutazione ricostruttiva degli elementi di fatto esaminati, come tale inammissibile in sede di legittimità;

- con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti per non aver il giudice di appello tenuto conto del mancato adempimento degli obblighi e degli impegni indicati nella scrittura del maggio 2002, non avendo concluso il successivo contratto.

In particolare, ad avviso del ricorrente le parti avrebbero manifestato una sorta di mutuo dissenso rispetto alla stipula della futura divisione secondo le quote del 50% pattuite, in quanto nonostante le divergenze non si sarebbero mai avvalsi del giudizio arbitrale di cui al punto 3 della scrittura privata.

Il motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte ha pacificamente chiarito che l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che qualora il ricorrente contesti, a norma dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetti di discussione tra le parti, deve indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato" testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (ancora Cass., Sez. Un., n. 8053 del 2014).

Nella specie, non è stato innanzitutto chiarito quale sarebbe il fatto decisivo omesso e, nel contestare del tutto genericamente la pronuncia della Corte distrettuale, parte ricorrente mira ad un'alternativa ricostruzione dei fatti, con l'inammissibile intento di sollecitare una nuova valutazione della vicenda diversa da quella prospettata dai giudici del merito. A tal riguardo, secondo costante giurisprudenza di legittimità, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito (Cass. n. 16051 del 2019).

Peraltro, nella specie la Corte distrettuale ha esaminato il comportamento tenuto dalle parti successivamente alla stipula dell'accordo, affermando che la circostanza che M.D. avesse pubblicato il testamento olografo della madre solo nel luglio 2009 e che, costituendosi in giudizio, non avesse neppure accennato alla scoperta dell'atto di ultima volontà in un momento successivo alla formazione dell'accordo in questione, confermava il fatto che egli, con la scrittura medesima, intendeva rinunciare a far valere il testamento successivamente pubblicato e disciplinare nei termini di cui alla scrittura i propri diritti successori.

Conclusivamente, il ricorso va respinto.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in cassazione in favore del controricorrente, liquidate in complessivi Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte di Cassazione, il 16 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2022

 


Avv. Francesco Botta

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